La storia Villa Milani
Ghellini - Tonin
Novoledo (VI)
L’ architettura
La
villa
fu
fatta
costruire
nel
1575
da
Giovanni
Milani
e
Francesco
e
figli,
come
riportato
nell’iscrizione
in
centro
dell'attico
in
luogo
alla
finestra
mediana:
IOANNES MILANUS E.Q.S.
FRANCISCI. F. EREXIT
A FUNDAMENTIS D.O.M AUSP
ANNO M.D. LXXV.
Giovanni
Milani
era
capitano
della
Serenissima
e
la
famiglia
era
conosciuta
nella
zona
per
la
vendita
e
l’
acquisto
di
fondi
agricoli.
Nel
1620
la
proprietà
venne
venduta
a
Emilio
Ghellini.
In
uno
scritto
ritrovato
dagli
attuali
proprietari
si
può
leggere
quanto segue.
Ampie
erano
le
possessioni
e
numerose
le
case
in
proprietà
dei
Ghellini
oltre
che
in
zone
più
lontane
anche
a
Villaverla,
Caldogno
e
Novoledo:
in
tutte
e
tre
queste
località
essi
hanno
lasciato
splendide
dimore
acquistate,
costruite
o
ampliate
a
loro
spese
e
in
varie
epoche,
a
testimoniare
le
grandi
disponibilità
economiche del loro casato.
Il
prospetto
della
villa
rivolto
a
mezzogiorno
è
costituito
da
un
ampio
porticato
sorretto
da
eleganti
colonne
con
capitello
ionico.
Al
di
sopra
di
esse
corre
un
altrettanto
elegante
architrave
con
cornicione
a
dentelli
di
vivo
effetto
chiaroscurale,
che
movimenta
e
arricchisce
la
trabeazione.
Al
di
sopra
di
questa
risalta
un
attico
in
tenue
bugnato,
interrotto
da
lesene
in
corrispondenza
delle
colonne
e,
negli
intercolumni,
da
piccole
finestre
quadrate.
Due
sottili
piramidi
sul
tetto
ai
lati
dell’
edificio,
fuori
dall’
asse
delle
colonne
e
fino
al
1947
sormontate
da
una
sfera
di
pietra,
cercano
di
equilibrare
quell’
andamento
orizzontale,
che
però
risulta
troppo
insistentemente
ribadito
da vari elementi architettonici.
Sul
porticato
si
affacciano
le
finestre
di
tre
ampie
sale,
la
grande
porta
di
quella
mediana,
e
due
porte
più
piccole
ai
lati,
i
cui
vani,
oltre
ad
immettere
nelle
due
sale
laterali,
ospitano
pure
due
eleganti
scale
a
chiocciola,
articolate
in
rampe
e
pianerottoli,
che
portano
alle
stanze
superiori
e
all’
attico,
che
era
adibito
esclusivamente
ad
unico
ed
ampio
granaio.
Dal
vano
scale
si
scendeva
in
sotterranei
da
cui
partivano
delle
gallerie
con
volti
in
mattoni,
ora
in
parte
diroccate,
che
non
si
sa
dove
andassero a sboccare.
Al
nord
stava
un
orto
recintato,
il
cui
muro
perimetrale
ovest
continuava
in
direzione
nord
ancora
per
qualche
centinaio
di
metri,
mentre
davanti
alla
villa
si
estendeva
un
ampio
cortile
al
quale
si
affacciavano
gli
ambienti
rustici.
Attraverso
questa
corte
spaziosa
si
aveva
l’
ingresso
principale,
che
sulla
strada
si
affacciava
con
due
pilastri
in
mattoni
sovrastati
da
due
anfore
in
pietra,
e
fiancheggiati
da
due
tratti
di
muro
che
terminavano
con
merlature
ghibelline.
Ora
tutto
questo
spazio
antistante,
come
afferma
il
Cevese:
“fu
recentemente
degradato
per
la
costruzione
disordinata
e
inopportuna
di nuovi disdicevoli edifici”.
Le
pitture
interne
della
Villa
sono
stare
recuperate
e
restaurare
dagli
attuali
proprietari.
Nei
tre
saloni
ci
sono
dei
disegni
di
forma
geometrica
e
floreale.
Nei
sopra-porta
sono
stati
recuperati
le
originali
pitture
architettoniche
del
periodo
neo-
classico.
Nel
salone
del
rustico
dove
vive
attualmente
il
proprietario,
esistono
delle
pitture
rappresentate
da
grandi
specchiature
intervallate
da
delle
lesene,
con
all'interno
rappresentata
la
Rosa
Canina
con
tralci
e
fiori.
Nei
sopra-porta
sono
raffigurare
delle
pitture
che
esaltano
il
gioco, il vino e l'uccellagione.
Di
grande
importanza
è
un
dipinto
dove
viene
riportata
un
'immagine
con
i
vari
sistemi
utilizzati
nella
pratica
dell'uccellagione
e
cattura
degli
uccelli.
Questo
testimonia
che
i
proprietari,
famiglia
Ghellini,
avevano
la
passione
della
caccia,
da
cui
si
deduce
che
possedevano
un
rocolo
dove
si
esercitava
l'uccellagione,
come momento di svago.
Al
centro
dell’
attico,
in
luogo
alla
finestra
mediana,
sta
un’
iscrizione
che dice:
PAULUS EMILIUS GHELLINUS
NOBILIS VICENTINUS
JURE CONSULTUS
SAPIENTIA PIETATE INTEGRITATE
CELEBERRIMUS
AEDEM HANC SIBI POSTERISQUE
SUIS
ACQUISIVIT
ALOYSIUS JURE UTROQUE
DOCTOR NEPOS
IN CATHEDRALI ARCHIPRESBYTER
ET MARCUS ANTONIUS
PRONEPOS AMPLIARUNT
DECORARUNT
Dalla
dicitura
“ACQUISIVIT”
si
deduce
che
la
villa
fu
acquistata
da
Paolo
Emilio
Ghellini.
Dal
suo
testamento
nel
1639
più
che
settantenne,
si
induce
a
pensare
che
si
sia
procurato
il
palazzo
in
età
matura,
quando
fatte
le
divisioni
con
il
fratello
Bartolomeo,
cui
toccò
la
casa
in
Via
Scartezzini,
egli
si
trovò
senza
dimora
nel
1598.
In
seguito,
nel
secolo
successivo,
dai
documenti
notarili
risulta
che
Paolo
Emilio
Ghellini
acquistò
la
Villa
dai
magnifici
Signori
FRANCESCO
e
ZUANE
ANTONIO
e
NICOLO'
nel
1620,
fratelli
e
figli
del
CAV.
FRANCESCO
MILANI.
Nel
1673
Marco
Antonio
Ghellini
aggiunse
ai
lati
della
villa
altri
due
gruppi
di
stanze,
come
viene
ricordato
da
una
breve
descrizione
posta a sera:
MARCUS ANTONIUS GHELLINUS
QUONDAM HIERONYMI
HAS A FUNDAMENTIS IUNXIT
ANNO DOMINI MDCLXXIII
All’
angolo
sud-ovest
dell’
originario
cortile
si
attesta
la
chiesetta
gentilizia
della
famiglia.
Essa,
per
incarico
del
vescovo
di
Vicenza,
fu
benedetta
il
16
novembre
1671
dal
reverendo
Luigi
Ghellini
secondo
la
formula
del
rituale
romano,
ed
era
dedicata
a
S.
Antonio
di
Padova.
L’
erezione
era
stata
voluta
da
Marco
Antonio
Ghellini,
il
quale
aveva
fatto
precedentemente
demolire
la
vecchia
cappellina
vicina
allo
stesso
palazzo,
allo
scopo
specifico
di
erigerne
una
nuova.
Evidentemente
lo
stesso
proprietario
si
è
reso
conto
che
la
chiesa
era
da
rifare
e
allora
il
9
aprile
1671
chiede
al
vescovo
di
abbattere
la
vecchia,
recuperare
il
materiale
da
costruzione
e
riutilizzarlo
anche
per
usi
profani,
e
fare
la
nuova
un
po’
discostata
dal
palazzo,
e
aperta
al
pubblico.
Il
permesso
deve
essere
avvenuto
subito,
e
il
20
agosto
dello
stesso
anno
era
già
al
coperto,
tanto
che
il
canonico
Alvise
Ghellini
vi
fa
un
sopralluogo
per
avvalorare
la
richiesta
di
Marco
Antonio
di
aprire
una
porta
privata
per
l’
accesso
alla
chiesetta
anche
dai
portici
retrostanti,
in
modo
che
le
signore
non
fossero
costrette
a
prendere
la
pioggia
in
caso
di
cattivo
tempo
probabilmente
questa
seconda
autorizzazione
non
è
mai
giunta,
tanto
che
la
porta
privata
non
venne
mai
aperta.
Comunque
la
chiesetta
poté
essere
benedetta
nel
novembre
dello
stesso
1671.
La
dedica
di
questo
altare
ha
fatto
sì
che
la
chiesa
per
voce
comune
fosse
detta
di
S.
Gaetano,
rimanendo
invece
sempre
ed
ufficialmente
dedicata
a
S.
Antonio.
Il
prospetto
della
chiesetta,
che
si
affaccia
sulla
strada,
sembra
presentare
una
certa
prevalenza
delle
aperture
sulla
parete
chiusa.
Due
finestre
rettangolari
forse
di
eccessive
dimensioni
fiancheggiano
la
porta
d’
ingresso,
sovrastata
questa
da
un
piccolo
frontoncino
triangolare,
al
di
sopra
del
quale,
al
centro,
spicca
un’
ampia
finestra
rotonda.
La
parete
viene
conclusa
da
un
timpano
triangolare
al
cui
centro
spicca
lo
stemma
nobiliare
dei
Ghellini,
e
con
negli
acroteri
tre
statue
di
modesta
fattura
seicentesca:
al
vertice
la
Vergine,
a
sinistra
S.
Antonio
e
a
destra
S.
Gaetano.
Fra
l’
altare
laterale
sinistro
e
l’
angusta
sacristia
s’
innalza
un
piccolo
campanile,
che
un
tempo
accoglieva
due
campane,
sovrastato
da
una
piccola
statua
di
un
angelo.
Questa
chiesetta
venne
visitata
il
20
settembre
1824
dal
vescovo
Giovanni
Antonio
Peruzzi,
che
la
trova
nel
suo
complesso
in
ordine.
La
chiesa
era
allora
di
proprietà
della
contessa
Bernardina
Ghellini-Nievo.
La Famiglia Ghellini
Le
origini
della
famiglia
Ghellini
si
possono
ritrovare
all’
interno
della
chiesetta,
infatti
sempre
nei
documenti
ritrovati
dagli
attuali
proprietari
della
villa
si
riporta
che
l’
altar
maggiore
è:
“sovrastato
anch’esso
da
tre
piccole
statue:
al
centro
un
piccolo
putto
e
ai
lati
due
figure
in
armatura
da
guerrieri.
I
due
guerrieri
vorrebbero
raffigurare
S.
Agricola
e
il
suo
servo
S.
Vitale.
Secondo
una
tradizione,
però
non
confermata,
essi
sarebbero
appartenuti
all’
antichissima
famiglia
bolognese
degli
Scannabecchi,
dalla
quale
trasse
origine
nel
1300
la
famiglia
dei
Ghellini”.
I
Ghellini
erano
sicuramente
una
delle
famiglie
più
importanti
dell’
epoca.
Un’
iscrizione
in
latino
citata
già
in
precedenza
e
tradotta,
riporta
quanto
segue:
“Paolo
Emilio
Ghellini,
nobile
vicentino,
giureconsulto,
celeberrimo
per
sapienza,
pietà
ad
integrità,
questo
edificio
procurò
per
se
e
i
suoi
posteri.
Il
nipote
Luigi,
dottore
in
entrambi
i
diritti,
arciprete
nella
cattedrale,
e
il
nipote
Marco
Antonio,
ampliarono
e
decorarono”.
Questo
ci
riporta
a
tre
personaggi
molto
importanti
per
la
storia
della
villa,
primo
fra
tutti
Paolo
Emilio
Ghellini,
che
acquistò
la
villa,
Luigi
Ghellini,
che
era
reverendo
e
il
16
novembre
del
1671
benedì
la
chiesetta
fatta
costruire
da
Marco
Antonio
Ghellini.
Quest’
ultimo
inoltre
ampliò
la
villa
facendo
aggiungere
delle
stanze.
Citiamo
anche
il
canonico
Alvise
Ghellini,
chiamato
da
Marco
Antonio
Ghellini
per
fare
un
sopralluogo
per
poter
“aprire
una
porta
privata
per
l’
accesso
alla
chiesetta
anche
dai
portici
retrostanti,
in
modo
che
le
signore
non
fossero
costrette
a
prendere
la
pioggia
in
caso
di
cattivo
tempo”.
Un’
altro
personaggio
importante
per
la
famiglia
fu
Gellio
Ghellini,
nei
documenti
si
legge:
”Si
sa
che
Gellio
Ghellini,
prozio
di
Marco
Antonio,
era
molto
noto
alla
sua
epoca
per
intelligenza,
pietà
e
carità.
Aveva,
infatti,
fondato
a
Vicenza
a
spese
sue
il
pio
luogo
del
“Soccorso”
come
asilo
di
penitenza
e
di
recupero
per
le
donne
traviate.
Aveva
conseguito
la
laurea
in
diritto
all’
Università
di
Padova
e
di
Sacra
Teologia
all’
Università
di
Ferrara.
Fu
anche
canonico
della
cattedrale
di
Vicenza,
ma
dopo
qualche
tempo
rinunziò
al
grado,
come
pure
rinunziò
al
vescovado
di
Parenzo,
in
Istria,
offertogli
dal
pontefice
di
allora
Clemente
VIII.
Aiutò
il
Calasanzio
nella
fondazione
delle
Scuole
Pie.
Quando
morì
era
parroco
di
S.
Faustino
e
vi
fu
sepolto
il
29
agosto
del
1616.
Di
lui
fu
introdotta
la
causa
di
beatificazione,
poi
sospesa
non
si
sa
per
quali
motivi”.
Gellio
Ghellini
è
ricordato
anche
in
un’
iscrizione
latina
posta
sotto
al
suo
busto
stilizzato
all’
interno
della
chiesetta
che
tradotta
dice:
“O
pio
viandante,
alza
lo
sguardo
all’
immagine
del
sacerdote
Gellio
Ghellini,
ammira
la
pietà
e
la
fede
di
lui,
del
quale
forse
con
pubblici voti richiedi il patrocinio”.
UNA NOTA DI STORIA
VICENTINA
Le
proprietà
delle
famiglie
Ghellini
con
le
loro
ville
in
Novoledo,
hanno
fatto
si
che
il
territorio
fosse
identificato
come
una
”terra
promessa”,
perché
la
grande
quantità
di
acqua
fornita
dalle
risorgive
del
luogo,
permetteva
una
maggiore
fertilità
alle
terre
coltivate
e
assicurava
prosperità
ai
loro
proprietari.
Le
risorgive
formano
le
sorgenti
che
con
l'unione
delle
acque
del
TIMONCHIO
danno
origine
al
fiume
BACCHIGLIONE,
il
cui
nome
tradotto
dal
greco
significa
“FIGLIO
DI
BACCO”.
Da
questo
si
deduce
che
nell'antichità
l'origine
del
nome
derivasse
dalla
coltivazione
delle
viti
nel
territorio,
che
producendo
ottimi
grappoli
davano
vita
ad
un
ottimo
vino,
facendo
in
modo
che
la
gente
locale
dedicasse
il
nome
Bacchiglione
al
nascente
corso
d'acqua.
Il
Bacchiglione
ha
dato
i
natali
a
tanti
artisti
che
hanno
successivamente
magnificato la città di Vicenza.
Nella
proprietà
di
Gelindo
Ghellini
il
vicentino
Prelato
Valeriano
Canati,
più
noto
con
l'
anagramma
di
Aureliano
Acanti,
era
amico
di
famiglia
e
veniva
invitato
per
la
caccia
nel
roccolo
e
alle
feste,
dove
partecipavano
molti
nobili
proprietari
di
fondi
agricoli
della
provincia
di
Vicenza,
che
per
l'occasione
portavano
i
vini
prodotti
nelle
proprie
tenute
per
deliziare
gli
ospiti.
Da
questo
connubio
di
festeggiamenti
con
i
vini
locali
il
prelato,
esaltandone
le
doti,
i
sapori
e
i
profumi,
darà
voce
a
delle
pagine
poetiche
che
gratificheranno,
con
la
loro
lettura,
i
commensali alle feste.
Dalla
raccolta
di
queste
pagine
poetiche
Valeriano
Canati,
in
tarda
età,
darà
origine
al
poemetto
“IL
ROCCOLO
DITIRAMBO”,
scritto
in
onore
di
Gellio
Ghellini
in
occasione
del
matrimonio
della
figlia
Elena
con
il
Conte Simondo Chiericati.
Il
poemetto
viene
pubblicato
un'unica
volta
a
Venezia
nel
1754
a
cura
della
Stamperia
Pezzana
e
sarà
apprezzato
non
solo
dai
letterati
per
la
sua
valenza
poetica,
ma
anche
dagli
enologi
per
l'importante
apporto
fornito
allo
studio
della
vinicoltura,
che
nel
secolo
successivo
avrebbe
avuto
notevole
sviluppo
a
livello
italiano
ed
europeo.
Con
i
suoi
1700
versi
è
un
inno
agli
oltre
trenta
vini
prodotti
nel
vicentino,
dei
quali
vengono
descritti
ed
esaltati
non
solo
i
sapori,
ma
anche
le
suggestive
zone
di
produzione
prevalentemente
collinari.
In
questo
poema
viene
menzionato
per
la
prima
volta
il
prosecco
del
Ghellino,
che
veniva
coltivato
dal
canonico
Jacobo
Ghellini
e
dai
suoi
due
fratelli
Pietro
e
Marco
nei
terreni
che
possedevano
a
Monte
Berico.
Una
nota
folcloristica
che
emerge
dal
poemetto
riguarda
i
produttori
di
vino
vicentini,
i
quali
prendevano
in
giro
le
produzioni
che
i
padovani
facevano
nei
colli
euganei,
in
quanto
davano
alla
luce
un
vino
di
bassa
gradazione
alcolica
e
acerbo
al
gusto
chiamato
dai nobili vicentini “vino pisciarello”.
Il
benemerito
fautore
di
questo
roccolo
dalle
dimensioni
di
un
grande
giardino
è
Bacco,
che
nel
suo
peregrinare,
dopo
aver
fatto
rifiorire
Firenze
e
la
Toscana
come
aveva
raccontato
Francesco
Redi
nel
suo
“Bacco
in
Toscana”,
trova
definitivo
e
gratificante
riposo
nel
territorio
vicentino
appagato
dall'amore
della
ninfea
Caledonia
(da
cui
il
toponimo
di
Caldogno)
e
dalla
bellezza
del
paesaggio.
Associazione Culturale Orizzonti Paranormali
“Non tutto quello che non si comprende necessariamente non esiste”